2. Il debito pubblico
Il debito pubblico è contratto normalmente dallo Stato e dalle altre amministrazioni pubbliche per far fronte a spese straordinarie o a temporanee deficienze di cassa. I prestiti pubblici sono la fonte più importante di entrate straordinarie per gli Stati moderni. Una volta erano stipulati per somme ridotte e a breve scadenza, direttamente dai sovrani, che ne rispondevano con i loro patrimoni o con la concessione al creditore dell’amministrazione di qualche gabella. Oggi, invece, i prestiti sono contratti sia dallo Stato che dai governi sub-centrali e da enti pubblici minori senza garanzie reali. Ciò spiega l’evoluzione verso somme enormi e con lunga scadenza, oltre al fatto che il successo del prestito è legato alla fiducia che il risparmiatore pone sul debitore pubblico il quale, per mantenerla, dovrebbe adempiere puntualmente agli impegni assunti con i propri creditori.
Di qui l’importanza assunta dalle agenzie di rating, che valutano, tra le loro attività, i debiti sovrani. Da loro, l’Italia ha spesso subito duri giudizi a causa della dimensione del suo debito.
Storicamente, il debito pubblico era legato soprattutto a condizioni di emergenza, ad esempio le guerre, che lo giustificavano appunto come una forma di finanziamento straordinario. In un paese finanziariamente progredito, il debito pubblico ha, invece, una funzione fisiologica, nel senso che, con la crescita del reddito, allo stesso modo in cui si manifesta l’esigenza di un ampliamento della circolazione della moneta, così si accresce la necessità di disporre di titoli del debito pubblico. La giustificazione teorica dei deficit pubblici finanziati dalla vendita di titoli del debito pubblico nei momenti bassi del ciclo economico si rinviene nel corpus teorico keynesiano. Nel quadro di una politica di deficit spending, il debito pubblico rappresenta l’esito della regolamentazione della domanda globale. Ma le politiche “keynesiane” avviate nel corso del secondo dopoguerra hanno progressivamente trascurato il ruolo congiunturale assegnato loro da Keynes e hanno perseguito obiettivi politici diversi sovente non virtuosi (acquisizione monetaria del consenso, appropriazione indebita di risorse pubbliche, etc.).
Ma quando un debito è eccessivo rispetto al prodotto interno lordo (Pil) di un paese? A quale livello del rapporto debito/Pil si manifesta la sua insostenibilità? La sostenibilità del debito pubblico è legata, in generale, al vincolo di bilancio intertemporale che comporta l’annullamento del rapporto debito pubblico/Pil nel lungo periodo. Le condizioni da soddisfare sono le seguenti: 1. finanziamento della spesa pubblica e degli interessi sul debito attraverso l’imposizione (condizione non soddisfatta in Italia negli anni ’70 e ’80); 2. tasso di crescita dell’economia maggiore del tasso di interesse reale (condizione non soddisfatta in Italia dagli anni ’90 ad oggi).
Se un alto rapporto debito pubblico/Pil costituisce un vincolo per la politica economica e per il benessere sociale, è interessante chiedersi a quale livello fisiologico esso debba essere ricondotto. La ricerca econometrica di Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, sulla relazione tra rapporto debito/Pil e crescita del Pil, sebbene criticata per alcuni errori procedurali, ha indicato il 90 per cento quale tetto che discrimina tra effetti neutrali-positivi ed effetti negativi del rapporto suddetto sulla crescita, mentre la Banca Mondiale ha indicato, a sua volta, la soglia del 77 per cento, avendo incluso nel panel anche i paesi emergenti, che sono più parsimoniosi.