Il carattere politico dello Stato si è trasformato con lo sviluppo della struttura capitalistica. Questa tesi marxiana mostra che l’evoluzione storica della contrapposizione società civile-Stato politico si è poi confrontata con l’ipotesi di Jurgen Habermas di una “rifeudalizzazione della società”, nel senso di una rinnovata compenetrazione della sfera pubblica in quella privata nella fase più sviluppata del capitalismo. Questo fenomeno si sarebbe verificato non tanto per il crescere dell’interventismo statale, ossia per l’espansione della sfera pubblica a spese di quella privata, quanto per il fenomeno opposto. Alla progressiva statalizzazione della società nel primo trentennio del secondo dopoguerra è seguita una sempre più marcata socializzazione dello Stato.
In precedenza, esso aveva travalicato le sue tradizionali competenze di ordine, protezione e così via, per assumere funzioni di coordinamento, controllo e programmazione del processo produttivo ai fini di una migliore allocazione delle risorse, del riequilibrio del ciclo economico e della redistribuzione del reddito. Successivamente, il “Baumol disease“ ha ridotto il ruolo dello Stato attraverso la privatizzazione, la liberalizzazione e il decentramento. In questo nuovo quadro, lo Stato politico si è trasformato in Stato sociale con funzioni mediatrici di fronte alla molteplicità degli interessi privati organizzati collettivamente. Il fatto che le sfere private abbiano assunto un carattere semipubblico, che cioè la sfera sociale sia stata rifeudalizzata, nelle parole di Habermas, ha avuto come conseguenza istituzioni statali e sociali che si sono fuse in un complesso di organizzazioni che non si prestano più alle distinzioni tradizionali di pubblico e di privato. In Italia, la transizione dallo Stato liberale a quello corporativo e infine allo Stato sociale, come è disegnato nell’art.3 della Costituzione repubblicana, ha accompagnato il passaggio dalla “finanza neutrale” all’intervento pubblico in economia.
Ma quale avrebbe dovuto essere il livello di quest’intervento da parte delle istituzioni economiche e quali i suoi limiti? Dove quest’intervento si sarebbe dovuto fermare nel garantire la libertà economica dei cittadini prima di abusarne? È possibile indicare in quali attività, tra quelle che le istituzioni svolgono senza coercizione, vi sono vantaggi comparati (in termini di costi di transazione, di mercati incompleti e non contendibili e di battitori liberi)? In altre parole è possibile individuare i casi e le procedure in cui è più probabile che l’intervento istituzionale sia conveniente?
Lo Stato sussidiario si presenta come un tentativo di mediazione tra il principio liberale e quello solidarista e, dunque, tra gli eccessi del liberismo economico senza solidarietà e quelli dello Stato assistenziale deresponsabilizzante. Esso vede convergere le tre componenti del pensiero democratico italiano (liberale, socialista e cattolica) sul rifiuto di ogni concezione totalitaria dello Stato e sull’esigenza di trovare un equilibrio tra individualismo e solidarismo.