Tuttavia, alla lunga prassi perversa di alcuni paesi si deve la richiesta di costituzionalizzazione del pareggio strutturale dei bilanci pubblici nel Fiscal Compact. Questa richiesta di istituire «regole» sovratemporali sul deficit strutturale nelle costituzioni degli Stati può essere accettata se diviene il presupposto di una futura concertazione politico-economica accompagnata da programmi di redistribuzione delle risorse. Questo vincolo costituzionale, in analogia al comportamento di Ulisse con le sirene, deriva dello stravolgimento politico della teoria economica, che ha portato i politici che non hanno a cuore il benessere dei governati e delle generazioni future ad attuare, in alcuni paesi, politiche keynesiane procicliche per decenni.
Una nazione sovrana può risultare inadempiente sul proprio debito in due modi: direttamente, sospendendo il pagamento degli interessi sul debito residuo (questo è il rischio chiamato comunemente puro “rischio di credito” o di default); indirettamente provocando inflazione inattesa e svalutando il cambio, manovre queste che riducono il valore reale del debito. I due rischi principali associati alla instabilità finanziaria sono quindi il rischio insolvenza, in genere remoto, a meno che il paese finisca lungo un sentiero di accumulo eccessivo di debito, e il rischio di cambio che invece è meno remoto. L’Italia, in particolare, ha dovuto mostrare la sua capacità di esorcizzare il rischio di insolvenza visto che il rischio di cambio associato al debito viene annullato appunto dalla sua appartenenza all’UME. Essa consente di emettere debito in una valuta equiparabile ad una valuta “estera” senza però poter creare inflazione e svalutazioni inattese. Ma il venir meno della seconda inadempienza, come ha mostrato Maurice Obstfeld con i modelli di crisi finanziaria di seconda generazione, rafforza i rischi della prima e cioè del default.
La strada da percorrere è quella che favorisce la crescita nel rispetto del principio di responsabilità. Lo slogan «Più Europa» è la risposta giusta a una crisi dovuta a un difetto di costruzione della comunità monetaria ma senza dimenticare che esiste anche una soluzione “Meno Europa”. Essa è allo studio da alcuni anni e ha delle chances perché i gradi di prossimità dei popoli sono diversi dentro e fuori i singoli Stati e la redistribuzione consensuale delle risorse all’interno dell’Eurozona è resa ardua dalle divergenze comportamentali dei governi. Queste sono state definite recentemente “differenze di mentalità” da parte di un esponente socialdemocratico della Bundesbank, Thilo Sarrazin, poi costretto alle dimissioni.
Nel secondo semestre del 2011, i mercati finanziari internazionali hanno sanzionato, con un forte aumento degli spread sui titoli del debito italiano, i rischi crescenti associati all’impasse politica in un tempo di crisi che aveva già messo in evidenza la possibilità di default sia di grandi banche che di Stati sovrani. L’acronimo PIGS si è trasformato in PIIGS per l’inclusione del nostro Paese nel gruppo di quelli a rischio.
Una nazione sovrana può risultare inadempiente sul proprio debito in due modi: direttamente, sospendendo il pagamento degli interessi sul debito residuo (questo è il rischio chiamato comunemente puro “rischio di credito” o di default); indirettamente provocando inflazione inattesa e svalutando il cambio, manovre queste che riducono il valore reale del debito. I due rischi principali associati alla instabilità finanziaria sono quindi il rischio insolvenza, in genere remoto, a meno che il paese finisca lungo un sentiero di accumulo eccessivo di debito, e il rischio di cambio che invece è meno remoto. L’Italia, in particolare, ha dovuto mostrare la sua capacità di esorcizzare il rischio di insolvenza visto che il rischio di cambio associato al debito viene annullato appunto dalla sua appartenenza all’UME. Essa consente di emettere debito in una valuta equiparabile ad una valuta “estera” senza però poter creare inflazione e svalutazioni inattese. Ma il venir meno della seconda inadempienza, come ha mostrato Maurice Obstfeld con i modelli di crisi finanziaria di seconda generazione, rafforza i rischi della prima e cioè del default.
La strada da percorrere è quella che favorisce la crescita nel rispetto del principio di responsabilità. Lo slogan «Più Europa» è la risposta giusta a una crisi dovuta a un difetto di costruzione della comunità monetaria ma senza dimenticare che esiste anche una soluzione “Meno Europa”. Essa è allo studio da alcuni anni e ha delle chances perché i gradi di prossimità dei popoli sono diversi dentro e fuori i singoli Stati e la redistribuzione consensuale delle risorse all’interno dell’Eurozona è resa ardua dalle divergenze comportamentali dei governi. Queste sono state definite recentemente “differenze di mentalità” da parte di un esponente socialdemocratico della Bundesbank, Thilo Sarrazin, poi costretto alle dimissioni.
Nel secondo semestre del 2011, i mercati finanziari internazionali hanno sanzionato, con un forte aumento degli spread sui titoli del debito italiano, i rischi crescenti associati all’impasse politica in un tempo di crisi che aveva già messo in evidenza la possibilità di default sia di grandi banche che di Stati sovrani. L’acronimo PIGS si è trasformato in PIIGS per l’inclusione del nostro Paese nel gruppo di quelli a rischio.
Di conseguenza, ulteriori istanze di riforma hanno condotto negli ultimi anni a importanti riforme della governance europea: il Semestre Europeo nell’autunno 2010 (che mira a favorire un coordinamento ex ante delle politiche dell’Eurozona e dell’UE a partire dal gennaio 2011); il Patto Euro Plus (un pacchetto globale di misure volto a preservare la stabilità finanziaria della zona euro e a rafforzare la governance economica dalla primavera 2011); il Six Pack e il Two Pack (che rappresentano rispettivamente modifiche del “braccio correttivo” e del “braccio preventivo” del PSC); infine il Fiscal Compact, mirato alla riduzione del rapporto debito/Pil (con cui, il 18 aprile 2012, il Senato italiano ha approvato il ddl costituzionale di riforma dell’art. 81, che ha introdotto il pareggio di bilancio nella Costituzione italiana). Alcune delle mete che erano state mancate dalla politica dell’integrazione europea fino alla crisi di secondo livello, quella dei debiti sovrani, sono state imposte dal tentativo di evitare i costi della disintegrazione dell’UME minacciata dal contagio dell’instabilità finanziaria tra i paesi debitori della periferia Sud e i paesi creditori. Essa è riuscita ad imporre regole comuni che hanno impresso un’accelerazione inattesa al processo di integrazione verticale europeo. Ma per neutralizzare il declino della credibilità dei paesi PIIGS, soprattutto nei paesi partner dell’Eurozona che detengono quote consistenti dei loro debiti pubblici, non basta più rimasticare i luoghi comuni del buonismo europeista. All’interno dell’area euro, priva di barriere, la progressiva perdita di competitività ha esposto banche e imprese italiane a take over ad opera di banche e imprese dei paesi forti dell’Eurozona.
Le LS proposte all’approvazione del Parlamento italiano, nel triennio che ha preceduto il governo Monti, non erano state in grado di preservare la stabilità finanziaria del nostro Paese minata dalla nuova dinamica espansiva assunta dal nostro rapporto debito pubblico/Pil. L’etero-direzione di alcune nostre politiche nazionali, talvolta imposte, talvolta richieste, sono state sufficienti a scongiurare l’instabilità finanziaria che aveva colpito l’Italia. Ma gli orientamenti espressi per lettera dai Presidenti della BCE Trichet e Draghi al Governo italiano e soprattutto la dinamica degli spread che hanno posto vincoli crescenti limitanti la sovranità nazionale, non potevano, in assenza di riforme strutturali, scongiurare un quadro macroeconomico di stagnazione e carente soprattutto sul versante dei conti pubblici. Negli ultimi anni, le nostre LS hanno cercato di tacitare i tecnici comunitari, della BCE e del FMI al fine di non esporre il Paese a differenziali consistenti dei tassi d’interesse da pagare sul debito evitando così attacchi speculativi all’intero sistema monetario europeo. Tuttavia sono rimasti invariati i differenziali di produttività e di competitività che influenzano la crescita e i saldi internazionali di conto corrente.
Le LS proposte all’approvazione del Parlamento italiano, nel triennio che ha preceduto il governo Monti, non erano state in grado di preservare la stabilità finanziaria del nostro Paese minata dalla nuova dinamica espansiva assunta dal nostro rapporto debito pubblico/Pil. L’etero-direzione di alcune nostre politiche nazionali, talvolta imposte, talvolta richieste, sono state sufficienti a scongiurare l’instabilità finanziaria che aveva colpito l’Italia. Ma gli orientamenti espressi per lettera dai Presidenti della BCE Trichet e Draghi al Governo italiano e soprattutto la dinamica degli spread che hanno posto vincoli crescenti limitanti la sovranità nazionale, non potevano, in assenza di riforme strutturali, scongiurare un quadro macroeconomico di stagnazione e carente soprattutto sul versante dei conti pubblici. Negli ultimi anni, le nostre LS hanno cercato di tacitare i tecnici comunitari, della BCE e del FMI al fine di non esporre il Paese a differenziali consistenti dei tassi d’interesse da pagare sul debito evitando così attacchi speculativi all’intero sistema monetario europeo. Tuttavia sono rimasti invariati i differenziali di produttività e di competitività che influenzano la crescita e i saldi internazionali di conto corrente.