Adottare o abbandonare l’Italia indebitata?

Potrei dire che non è servito, nel senso che al citato cap.3330 del Fondo sono confluiti circa 50 milioni di lire, mentre il debito in questo ventennio, in termini quantitativi è più che raddoppiato ed è in crescita costante (oltre 2.228 miliardi di euro, su cui si pagano annualmente circa 70 miliardi d’interessi, finché lo spread rimane basso), e perché noi non abbiamo mobilitato le folle; ma si potrebbe anche dire che è servito e serve, perché non sembra che siano stati inutili gli studi, le riflessioni, il dialogo che si è intrecciato in rete, con un’associazione che in vent’anni ha continuato a vivere in termini di volontariato, senza alcun contributo pubblico, giungendo al suo quarto presidente.

Dopo il sottoscritto, il dr. Paolo Mazzanti e l’avv. Nicola Paglietti, è ora presidente il prof. Pasquale Moliterni, che, impegnato in un convegno all’Università di Cosenza, ha delegato il consigliere dr. Iafrate che interverrà nel pomeriggio. Ricordo che l’avv. Nicola Paglietti ci incoraggiò riprendere il largo pubblicando, nella editrice Euroma, il mio libro La Tunica e il Mantello, Debito pubblico e bene comune, provocare per educare (2003) che documenta la storia dell’ARDeP, ora leggibile anche nel sito aggiornato www. ardep.it. ? Abbiamo intercettato e interagito proficuamente con Assoetica, con Associazione Articolo 53, con Centro nuovo sviluppo, con Oxfam Italia, con Centro Coscienza e con SOS Utenti, il cui presidente onorario, Gennaro Baccile, è socio fondatore dell’ARDeP. I cambiamenti in profondità sono difficili e richiedono tempi lunghi. E’ buona cosa che lo sdegno sia entrato in Parlamento, sia pure sull’onda dell’esasperazione nei riguardi di una politica a dir poco distratta, e che ai vertici si cominci a dare qualche segnale concreto di sobrietà. Ci siamo congratulati con l’operazione Restitution Day del M5S, rivelando loro l’esistenza di un precedente etico-civico, senza peraltro suscitare qualche forma di interesse e di apprezzamento per il ventennio “profetico” da noi dedicato a sollevare il problema e a testimoniare.
Occorrono fermezza e convinzioni profonde e diffuse, un ethos condiviso, non solo basato sul risentimento e sulla rabbia, che esplodono quando la gente non ne può più, ma che rischiano di trasformarsi in guerriglia, in invidia da un lato e in conservazione dei privilegi dall’altro, quando i rivoluzionari giungono al potere. La sfiducia diffusa corrode quel capitale sociale che è altrettanto grave quanto la mancanza? di coraggio imprenditoriale, di produzione, di consumi, di denari. Sentirsi gli unici virtuosi, onesti e credibili, non favorisce quel cambiamento realistico, duraturo ed equilibrato, che ha bisogno non di eroi o di tipi strani, ma di gente normalmente civile, che cerca di ricuperare il più possibile comunitariamente il senso di una comune dignità perduta.
Viene in mente a questo proposito l’etica ternaria di Paul Ricoeur: avere fiducia in sé come capaci di agire secondo principi; guardare in faccia con rispetto l’altro, come persona, amico e portatore di bisogno; non guardare in faccia nessuno, considerando anche gli amici come “chiunque”, quando si agisce sul piano istituzionale, in termini di giustizia. Credere che gli “altri” non possano convincersi che è anche conveniente vivere onestamente e responsabilmente, genera il sospetto che non si creda neanche in se stessi. ?