“Buona Scuola”, una riforma con luci e ombre. Una chiacchierata con Luciano Corradini

Luciano Corradini (Reggio nell’Emilia, 1935), professore emerito di Pedagogia generale nell’Università di Roma Tre, Medaglia d’oro dei benemeriti della scuola, della cultura e dell’arte. È stato anche ordinario di Pedagogia generale nelle Università di Milano Statale e di Roma La Sapienza, presidente nazionale dell’ARDeP (Associazione per la riduzione del debito pubblico), presidente nazionale dell’AIDU (Associazione […]

Luciano Corradini (Reggio nell’Emilia, 1935), professore emerito di Pedagogia generale nell’Università di Roma Tre, Medaglia d’oro dei benemeriti della scuola, della cultura e dell’arte. È stato anche ordinario di Pedagogia generale nelle Università di Milano Statale e di Roma La Sapienza, presidente nazionale dell’ARDeP (Associazione per la riduzione del debito pubblico), presidente nazionale dell’AIDU (Associazione italiana docenti universitari), presidente nazionale dell’UCIIM (Unione cattolica italiana insegnanti medi), sottosegretario alla Pubblica Istruzione nel Governo Dini, presidente del gruppo di lavoro ministeriale per l’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione (col ministro Gelmini). Ma anche il primo volontario fiscale. Nel 1992, di fronte alla minaccia di default, aveva deciso di versare il 10% del suo stipendio di docente universitario allo Stato, con la motivazione: “contributo volontario al risanamento del bilancio dello Stato”. Provocare per educare, come ama dire… Non ha mai smesso di impegnarsi per il bene comune.

Luciano, cosa pensi della tanto incensata “riforma della scuola”?  

Non è solo incensata dal presidente Renzi, dal ministro Giannini e dalla maggioranza che l’ha voluta e votata a tempi di record, dal marzo al luglio del 2015. E’ anche vituperata e combattuta da un fronte ampio di insegnanti, di sindacalisti, di studenti, oltre che dalle opposizioni parlamentari, con l’astensione di una ventina di parlamentari del PD. Per analizzare le ragioni, i metodi, i percorsi, le svolte improvvise, gli scioperi, le lotte che hanno caratterizzato i mesi che precedono il varo parlamentare della legge 13 luglio 2015 n.107, sarebbe necessario un lungo discorso.

Per la sua complessità e incompiutezza, la legge richiederà diversi anni per la messa a regime, e per l’attuazione delle nove deleghe, che contengono potenzialmente altre “riforme”. Durante la discussione parlamentare, le piazze (sciopero del 5 maggio, sciopero degli scrutini) si sono riempite di docenti e di studenti contrari: alcuni hanno contestato il metodo, altri temi specifici della manovra sugli insegnanti, altri hanno protestato a prescindere dal merito delle questioni, col ricorso ad alcuni slogan che risalgono al ’68, per denunciare autoritarismo, selezione, precarizzazione, perdita dell’identità e dei diritti, attacco al diritto allo studio, privatizzazione.

Si può allora parlare di riforma “insensata”?

Direi di no. Intendiamoci: non mancano alcune scelte discutibili (e non discusse con soggetti del mondo associativo e sindacale, con esperti e ricercatori disponibili) nel metodo e nel merito. Ci sono limiti ed errori, ma l’operazione fatta non si può ridurre a questi. Per operazioni di questa complessità, viste in prospettiva storica e non mettendo la lente d’ingrandimento sugli aspetti più sgradevoli della legge, non si può pensare a un trionfo, ma neppure a una tragedia: le riforme che conosco mi paiono tappe più o meno felici di un tortuoso itinerario, fatte di luci e ombre, con limiti antichi, con aspetti spesso enfatizzati dalle polemiche e riscoperte poi a distanza di tempo come conquiste.

Seguendo la rassegna stampa, si resta turbati nel leggere, per esempio, che si è utilizzato un misterioso algoritmo per l’immissione in ruolo di docenti e per l’assegnazione delle sedi, nella convinzione forse errata di poter risolvere una volta per tutte il problema del precariato; che i presidi diventeranno sceriffi, per i poteri che sarebbero loro conferiti circa le nomine di taluni docenti e in parte circa la valutazione e la gestione di modeste risorse economiche, mentre di fatto il testo varato prevede già ora, in merito, un ruolo importante per organi collegiali ridisegnati. Ci sono comunque, su questi e su altri aspetti della legge, ricorsi ai Tar e perfino alla Corte costituzionale da parte di alcune Regioni. Il peccato originale dell’operazione consisterebbe, secondo alcuni commentatori, nel far dipendere la riforma dall’immissione in ruolo dei docenti delle GAE (graduatorie ad esaurimento), senza raccordare le loro competenze, non sempre garantite, dato che alcuni non insegnano da anni, con i bisogni formativi dei ragazzi e con le scelte operate dalle scuole nei progetti triennali dell’offerta formativa. C’è obiettivamente in questa legge il riemergere di un antico contrasto fra la logica garantistica e quella manageriale; e c’è una virata che avoca allo Stato poteri che il titolo V della Costituzione del 2001 aveva attribuito alle Regioni in materia di istruzione e formazione professionale, contro la logica del decentramento e dell’autonomia. D’altra parte questi nodi complicati, sul piano politico e sul piano tecnico, non si possono sciogliere con piglio decisionistico, in un paese diviso su quasi tutto. Dati i limiti del contesto e dei tempi imposti all’operazione, non direi che ci si potesse attendere una “signora riforma”, ma non credo neppure che sia nato un mostro.

Non mi sembra dunque saggio, nonostante i comprensibili disagi e malumori per le occasioni perdute, in un senso o nell’altro, ora che la legge comunque è stata varata, continuare a oltranza una battaglia che impedisca di vedere, di valorizzare, di attuare al meglio, e di concorrere anche a cambiare, in sede di decreti delegati, alcuni aspetti della norma. Bisogna che il Governo non voglia strafare e accetti di ponderare, con confronti reali, le conseguenze delle scelte finora fatte.

La linea seguita da Renzi, per quanto discutibile, è quella di ritenere preferibile “portare a casa” una legge che affronti alcuni rilevanti problemi fermi da anni, piuttosto che rinviarnesine die il varo, in attesa di un provvedimento ponderato, organico e condiviso, che rischia d’essere un miraggio, com’è accaduto più volte in passato. Non dimentichiamo, per esempio, che il  Governo Moro si dimise, nel 1966, per un voto a scrutinio segreto sull’istituzione della scuola materna statale.

Ci sono novità per quanto riguarda la Costituzione nella scuola?

Devo dire che, nonostante i tentativi di alcuni, tra cui il sottoscritto, di proporre ai decisori suggerimenti ed emendamenti, la legge non cita neppure la Costituzione.Sicché dire che si vuole una buona scuola e che gli insegnanti insegneranno “meglio”, come dice Renzi, senza indicare esplicitamente nella legge le grandi direttrici valoriali della Costituzione, significa perdere la “visione” o l’”anima” della scuola repubblicana. Penso per esempio al fine di tutto l’ordinamento, che è il “pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica economica e sociale del Paese”. Queste affermazioni, relative ai diritti e ai doveri della persona, del cittadino e del lavoratore, non sono prive di conseguenze nell’organizzazione del curricolo e nella definizione dei ruoli degli attori della vita scolastica.  E riguardano anche l’insegnamento/apprendimento della Costituzione, nella lettera e nello spirito.

E che cosa si può dire per quanto riguarda  l’educazione civica, su cui molti hanno insistito, in occasione del sondaggio telematico fatto da Palazzo Chigi?

Vorrei anzitutto ricordare che fra gli anni ’80 e ’90, Parlamento, Ministero e scuole sono stati indotti a rispondere ad una serie di “emergenze” sociali, o con progetti specifici o con le cosiddette “educazioni aggiunte”, che fecero perno sull’educazione alla salute e sui Progetti Giovani, Ragazzi, Genitori, Arcobaleno. Nel ’94-’95 il Consiglio nazionale della PI e il Ministero s’impegnarono intensamente a produrre una direttiva ministeriale (8.2.1996, n. 58), con un documento allegato, dal titolo Nuove dimensioni formative, educazione civica e cultura costituzionale. Con la legge delega della Moratti (28. 3. 2003, n. 53), si tornò a parlare dell’educazione ai principi fondamentali della convivenza civile e si previdero, nelleIndicazioni nazionali, ben sei “educazioni”, tra cui la quella relativa alla cittadinanza.   

Non essendo possibile trovare per esse uno spazio curricolare adeguato, si è finito per lasciarle fuori tutte, compresa l’educazione civica, che pur disponeva fin dal 1958, per merito del decreto Moro, di un pur piccolo spazio curricolare, accanto alla storia.

Eppure molti avevano scoperto che, dentro l’educazione civica, c’era una mappa del tesoro troppo poco conosciuta e valorizzata, che conteneva nel suo codice genetico tutte quelle dimensioni educative che si sarebbero potute coltivare, da parte di scuole responsabilmente autonome, senza indulgere alla bulimia educativa e senza tagliare le radici che legittimano la democrazia repubblicana, l’educazione e la stessa scuola. Si tratta proprio della Carta costituzionale, che è una sorta di albero dalle solide radici, produttivo di fiori e di frutti, se saggiamente coltivato. La legge 169/2008 ha già impegnato la scuola a promuovere “conoscenze e competenze” relative a Cittadinanza e Costituzione, nell’ambito delle aree storico geografica e storico sociale, sia pure a costo zero. Nessuno però chiede alle scuole conto della coltivazione e della raccolta dei frutti di quest’albero. La legge 107 non nomina neppure questa recente legge, peraltro citata e commentata nelle Indicazioni nazionalivigenti nel primo e nel secondo ciclo della scuola, dal 2010 e 2012. Il che francamente è paradossale. Concludo con un colpo d’ala, se ci riesco.

L’Expo 2015 ha assunto come slogan Nutrire il Pianeta e Energia per la Vita. In questa vetrina mondiale, la scuola, se ci si pensa bene, non avrebbe da offrire solo conoscenze relative a scienza e tecnologia, arte e paesaggio, cibo e dolce vita, ma anche il frutto della riscoperta critica di un eccezionale bene etico-giuridico, di cui è insieme frutto e custode: un bene che potrebbe dare nuova vita alle prossime generazioni, se Ministero e scuole sapessero riconoscerlo e valorizzarlo, come peraltro vogliono due leggi vigenti, mentre l’ultima, la 107, resta in proposito nel vago. Insomma l’educazione civica di Aldo Moro, se “lucidata e rimessa a nuovo” come vintage, col nome aggiornato di Cittadinanza e Costituzione (C&C), può fare la sua buona figura nel mondo, come un’auto d’epoca, capace di correre la Mille Miglia, risvegliando antichi sogni e antiche passioni. Chissà che, con la crisi della Volkswagen, non si ricuperi C&C nei decreti delegati di questa legge, uscita troppo in fretta dal Parlamento, e attuata subito con un algoritmo sospetto…

Libri sul comodino:

  1. L. Corradini, La tunica e il mantello. Debito pubblico e bene comune: provocare per educare, Euroma La Goliardica, 2003;
  2. S. Chistolini, Cittadinanza e convivenza civile nella scuola europea. Saggi in onore di Luciano Corradini, Armando, 2006;
  3. L. Corradini, Educare nella scuola nella prospettiva dell’UCIIM, Armando, 2006;
  4. L. Corradini, Cittadinanza e Costituzione, Tecnodid, 2009;
  5. L. Corradini, La Costituzione nella scuola, Erickson, 2014.