Ultimamente pare che quasi tutti se la prendano con il pareggio di bilancio inserito in Costituzione. Sarebbe questa la fonte di tutti i nostri mali. Per alcuni persino il pareggio di bilancio in sé sarebbe un obiettivo errato. Chi l’ha detto che i conti debbano essere in pareggio? Così si va ragionando, da sinistra e da destra, da vecchi partiti e da nuovi movimenti. Anche l’attuale Governo vorrebbe maggior flessibilità, spostando nel tempo il raggiungimento del pareggio di bilancio, alzando la percentuale stabilita per il deficit o rinegoziando il fiscal compact, cioè i tempi per la riduzione del debito pubblico.
Sinceramente non li capisco, non trovo una valida ragione per seguire queste strade. Sarà che ho una famiglia e perciò so bene che non possiamo spendere oltre le risorse disponibili. Sarà che faccio l’amministratore di una società e so che il pareggio di bilancio è un obiettivo irrinunciabile. Sarà che ho in mente le parole di Ezio Vanoni all’Assemblea Costituente il 24 ottobre 1946: “è bene che, anche dal punto di vista giuridico, il principio sia presente sempre alla mente di coloro che propongono delle spese nuove: il Governo deve avere la preoccupazione che il bilancio sia in pareggio e la stessa esigenza non può essere trascurata da una qualsiasi forza che si agita nel Paese e che avanza proposte che comportino maggiori oneri finanziari”.
Per queste ragioni a mio avviso la prospettiva più sensata è esattamente quella opposta: raggiungere subito il pareggio di bilancio (quindi con deficit zero), anzi accantonare un avanzo per ridurre progressivamente il debito pubblico e possibilmente azzerarlo. Il mio rammarico è che non lo si sia fatto prima, cioè negli ultimi 20 anni. Perché sono 20 anni che il bilancio dello Stato chiude con un avanzo primario positivo, se non ci fossero gli interessi sul debito da pagare. Ciò significa che sono 20 anni che sprechiamo risorse per pagare interessi, senza uscire dal tunnel del debito, che sta diventando sempre più insostenibile. E non è prolungando l’agonia che si risolve il problema, magari sperando in una crescita che probabilmente non ci sarà.
Ma dove si potrebbero trovare le risorse per raggiungere il pareggio di bilancio e poi ridurre il debito? La risposta a questa domanda è nascosta in altre domande: perché si è creato il debito pubblico? Perché ogni anno il bilancio chiude con un deficit? Dove sono finiti i soldi del deficit e del debito? I dati dimostrano che l’Italia s’è indebitata perché gli italiani si sono arricchiti. Che fino a 20 anni fa le entrate non coprivano le uscite. Che poi negli ultimi 20 anni le tasse sono state più alte del necessario, a causa degli interessi sul debito. E soprattutto che senza evasione fiscale, non avremmo avuto deficit né accumulato alcun debito.
Che fare adesso? Anzitutto smetterla di rimandare il problema e di far finta di non vedere. I numeri parlano chiaro: gli italiani dispongono di un patrimonio di oltre 9.000 miliardi di euro. Il debito pubblico è di oltre 2.000 miliardi di euro. La domanda dovrebbe essere soltanto questa: chi paga e in quale modo? Le altre sono discussioni quasi inutili. Oggi anche il governo si accorge che i conti non tornano, che abbiamo un problema che si chiama debito, che la crescita non c’è. Mi pare ci sia soltanto una via d’uscita: chi ha di più, paghi. Si chiama solidarietà.
Perché nessuno propone di coprire il debito pubblico con i soldi degli italiani? Perché così si perdono le elezioni! Per questa ragione continueremo a trascinarci nella spirale del debito, in cui tutti pagano di più e pochi incassano. Anzi, possiamo anche dare un contentino di 80 euro al mese a qualche milione di lavoratori. Ma negli ultimi 40 anni le imposte sui redditi sono progressivamente aumentate per i poveri e diminuite per i ricchi. La Costituzione prevede l’esatto contrario. Applicarla sarebbe la vera riforma, ma oggi si preferisce prendersela con il pareggio di bilancio. È più facile e indolore. Soprattutto non costa nulla.