Estratto a cura di Pasquale Moliterni dall’articolo di Massimo Cacciari su L’Espresso del 30.1.2014, pag. 11, in cui il filosofo italiano si chiede come mai, nonostante i propositi e gli impegni assunti all’indomani di Tangentopoli, la corruzione dilaghi ancora in Italia.
Per Cacciari <<la spiegazione si trova in Machiavelli: è l’incapacità di governare a produrre malaffare e conflitti d’interesse. “Uno tristo cittadino non può male operare in una repubblica che non sia corrotta”, (Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, Libro III, cap. 8). …Tristi cittadini ci saranno sempre, ma in una repubblica che non sia, essa, corrotta, poco potranno nuocere e facilmente essere “esiliati”. Gli ordini contano, le leggi, che non sono fatte
dai giudici. Le leggi non cambiano la natura dell’uomo, ma la possono governare. E’ la repubblica corrotta che continuamente produce i corrotti.
Una repubblica è corrotta – scrive ancora Cacciari – quando continua a produrre cittadini corrotti e una repubblica è corrotta quando è inetta, quando è impotente a dare un ordine alla molteplicità di interessi che la compongono, quando non sa governare i conflitti, che sono la ragione della sua stessa vita, ma li subisce e li insegue. Se è inetta a mutare in relazione all’”occasione”, se è inetta a comprendere quali dei suoi “ordini” sono da superare e quali nuovi da introdurre, allora essa è corrotta, cioè si corrompe e alla fine si dissolverà. Corruzione è innanzitutto impotenza. E’ impotenza e incapacità di “deliberare”. Una repubblica strutturata in modo tale da rendere impervio il processo delle decisioni, da rendere impossibile comprendere con esattezza le responsabilità dei suoi diversi organi, una repubblica dove si è costretti ogni volta, scrive Machiavelli, alla “dannosissima via di mezzo”, alla continua “mescolanza” di ordini antichi e nuovi per sopravvivere, è una repubblica corrotta e cioè inetta, inetta e cioè corrotta.>>
Una repubblica dà il peggio di sé, continua Cacciari, <<quando diviene quasi naturale confondere il privato con il pubblico e concepire il proprio ruolo pubblico anche in funzione del proprio interesse privato. Magari senza violare norma alcuna –appunto perché una repubblica corrotta in questo massimamente si manifesta: nel non disporre di norme efficaci contro i “conflitti d’interesse”, di qualsiasi tipo essi siano.
Una repubblica è corrotta quando chi la governa può credere gli sia lecito perseguire impunemente il “bene particulare” nello svolgimento del proprio ufficio. Che questo bene significhi mazzette, o essere “umani” con amici e clienti, “essere regalati” di qualche appartamento, manipolare posti nelle Asl o farsi le vacanze coi soldi del finanziamento pubblico ai partiti, cambia dal punto di vista penale, ma nulla nella sostanza: tutte prove della corruzione della repubblica.
Poiché soltanto il “bene comune è quello che fa grandi le città” (Machiavelli, Discorsi, Libro II, cap. 2). Il politico di vocazione può riuscire nel difficile compito di tenerlo distinto sempre dal suo privato. Il politico di mestiere, mai. Quello che si è messo alla prova nei conflitti della repubblica senza corrompersi, può farcela. Il nominato, il cooptato, che abbia cento anni o venti, mai.
Ma abbiamo forse toccato il fondo e questo, conclude Cacciari, deve darci speranza. Per vedere tutta la virtù di Mosè, diceva Nicolò, era necessaria tutta la miseria di Israele.>>