Sintesi a cura di Pasquale Moliterni
Dalla primavera scorsa è presente in libreria, pubblicato dalla casa editrice Emi, il testo “Guarire dalla corruzione” di Papa Francesco
, traduzione del testo originale del 2005; “Corrupción y pecado. Algunas reflexiones entorno al tema de la corrupción”.
Ci sembra opportuno dare il giusto risalto a tale contributo attraverso il nostro sito, nell’ambito di quell’azione formativa che costituisce uno dei tre assi propositivi dell’Ardep, considerato che il debito pubblico è frutto anche di un uso delle risorse pubbliche a fini particolari e/o privati.
Osserva Bergoglio che sempre più si parla di corruzione, soprattutto nel campo della politica. La corruzione viene denunciata in diversi ambienti sociali. Si parla di persone e di istituzioni corrotte che sono entrate in un processo di decomposizione e hanno perso la loro consistenza, la loro capacità di essere, di crescere e di servire la società intera.
La corruzione non è un atto, ma uno stato, uno stato personale e sociale, nel quale l’individuo si abitua a vivere. I valori (o i non-valori) della corruzione sono integrati in una vera cultura, con capacità dottrinale, linguaggio proprio, maniera di procedere del tutto peculiare. È una cultura di pigmeizzazione dell’uomo, in quanto convoca proseliti con il fine di abbassarli al livello di complicità ammesso.
La corruzione porta a perdere il pudore che custodisce la verità, la bontà, la bellezza e l’unità dell’essere umano.
Il corrotto costruisce un’autostima che si fonda su atteggiamenti fraudolenti; passa la vita in mezzo alle scorciatoie dell’opportunismo, al prezzo della sua stessa dignità e di quella degli altri.
Il corrotto non si accorge del suo stato di corruzione. Succede come con l’alito cattivo: difficilmente chi ha l’alito pesante se ne rende conto. Sono gli altri che se ne accorgono, e devono farglielo notare. Ne consegue che altrettanto difficilmente il corrotto può uscire da questo stato per un rimorso interiore: in lui la virtù è anestetizzata.
Pertanto il corrotto si offende dinanzi a qualunque critica, discredita la persona o l’istituzione che la emette, fa in modo che qualsiasi autorità morale in grado di criticarlo sia eliminata, ricorre a sofismi ed equilibrismi nominalistico-ideologici. Per giustificarsi, sminuisce gli altri e attacca con l’insulto quelli che la pensano diversamente e cercano di condurre un’esistenza retta.
Nella condotta del corrotto l’atteggiamento malsano diventa uno stile e, al massimo, avrà l’aspetto di debolezza relativamente accettabile e giustificabile dalla società. Un corrotto che ambisce al potere si presenta, solitamente, con atteggiamenti velleitari o superficiali che lo portano a cambiare opinione o a riposizionarsi a seconda delle situazioni.
Frequentemente si identifica corruzione con peccato; in realtà, situazione di peccato e stato di corruzione sono due realtà distinte, anche se intimamente legate tra loro. Il peccato, soprattutto se reiterato, conduce alla corruzione, non però’ quantitativamente (tanti peccati fanno un corrotto) ma piuttosto qualitativamente, con il generarsi di abitudini che vanno deteriorando e limitando la capacità di amare, ripiegando ogni volta di più i riferimenti del cuore su orizzonti più vicini alla propria immanenza, al proprio egoismo.
Il peccatore, nel riconoscersi come tale, in qualche modo ammette la falsità del tesoro al quale ha aderito o aderisce. Il corrotto, invece, ha sottomesso il suo vizio e fa sempre in modo di salvare le apparenze, affinchè il suo comportamento risulti socialmente accettabile. Per la sua competenza in cosmetica sociale il corrotto meriterebbe un dottorato honoris causa.
Ogni corruzione sociale non è altro che la conseguenza di un cuore corrotto e putrefatto a causa dell’adesione eccessiva a un tesoro materiale che lo ha conquistato. Il pretesto della debolezza umana, assieme alla complicità, crea l’ humus propizio alla corruzione. Il cuore si corrompe, continua Papa Francesco, quando si chiude in se stesso.
Ogni corruzione cresce e allo stesso tempo si esprime in un’atmosfera di trionfalismo. Il corrotto, integrando nella sua personalità situazioni stabili di degenerazione dell’essere, lo fa in modo tale da stimolare un senso ottimista della sua esistenza fino al punto di auto-ubriacarsi in quell’anticipo dell’escatologia che è il trionfalismo.
Il corrotto non ha speranza. Il peccatore aspetta il perdono, il corrotto, al contrario, no, perché non si sente in peccato, giacché crede di trionfare sui propri simili.
È precisamente questo trionfalismo, nato dal sentirsi misura di qualsiasi giudizio, che permette al corrotto di abbassare gli altri alla propria misura trionfale. Pertanto un ambiente di corruzione, una persona corrotta, non permette di crescere in libertà.
Il corrotto non conosce la fraternità o l’amicizia, ma la complicità. Per lui non vale il precetto dell’amore ai nemici o quella distinzione alla base della legge antica: o amico o nemico. Egli si muove nei parametri di complice o nemico.
Quando un corrotto esercita il potere, coinvolgerà sempre gli altri nella sua corruzione, li abbasserà alla sua misura e li farà complici della sua scelta di stile. Poiché la corruzione implica questo essere misura, essa è proselitista.
Il peccato e la tentazione sono contagiosi; la corruzione è proselitista.
Il peccato si perdona, la corruzione non può essere perdonata, perché il corrotto, ritenendosi autosufficiente nell’espressione della sua salvezza, non crede di dover chiedere perdono.
Pertanto ci si dovrebbe ripetere l’un l’altro “Peccatore sì, corrotto no!”, dicendolo con timore, perché non succeda che si accetti lo stato di corruzione come fosse solo un peccato in più.
Papa Francesco invita dunque a una costante vigilanza, perché una condizione di quotidiana complicità con il peccato può condurre alla corruzione.