La risorsa degli investimenti nella voragine del deficit

Parlando al meeting di Rimini, il governatore di Banca d’Italia, Fabio Panetta, ha fatto cenno al “problema cruciale” della “riduzione del debito pubblico in rapporto al Pil”, fornendo un dato suggestivo: “L’Italia è l’unico paese dell’area dell’euro in cui la spesa pubblica per interessi sul debito è pressoché equivalente a quella per l’istruzione”, un fatto “emblematico di come l’alto debito stia gravando sul futuro delle giovani generazioni, limitando le loro opportunità”. Il confronto è un utile spunto per svolgere alcune considerazioni critiche che muovono da un lato dalla natura economica della spesa in istruzione e, dall’altro, da alcuni elementi peculiari che caratterizzano la nostra economia e – in particolare – il quadro della finanza pubblica.

Come noto, l’Italia ha il secondo più alto debito pubblico in rapporto al prodotto nell’UE (peggio solo la Grecia) e il terzo più alto tra i paesi OCSE. L’alto debito, come detto da Panetta, significa un’elevata spesa per interessi, “pressoché equivalente a quella per l’istruzione”: va detto che la spesa pubblica in istruzione italiana è tra le più basse in Europa e tra i paesi OCSE (peggio solo Grecia e Irlanda). Va considerato, poi, che da un punto di vista economico la spesa in istruzione ha natura di investimento, dei cui rendimenti beneficeranno le generazioni future: se c’è una categoria di spesa, a parte quella per infrastrutture e ricerca, che meriterebbe di essere finanziata con debito questa è proprio l’istruzione. Quindi, se ipotizzassimo che tale spesa per interessi fosse legata al debito pubblico emesso in passato per finanziare la spesa in istruzione, la cosa non sarebbe così scandalosa: staremmo pagando gli interessi con una parte del rendimento di quell’investimento.

Passando agli aspetti più inerenti la finanza pubblica, molti sostengono che una delle principali motivazioni per cui il nostro paese dovrebbe impegnarsi a ridurre il debito pubblico risiede nel fatto che in tal modo, riducendo la spesa per interessi, si aprirebbero spazi di bilancio per ridurre le imposte e/o aumentare la spesa pubblica. Guardando agli ultimi 50 anni, si può sollevare qualche perplessità sul nesso di causalità implicito nella esemplificazione proposta (anche) da Panetta.

La domanda che ci si dovrebbe porre è la seguente: la spesa pubblica in istruzione sarebbe stata più elevata o più bassa in presenza di un minor livello di debito pubblico, e quindi di una minore spesa per interessi?

Per rispondere può essere utile ricordare tre cose. Primo, l’Italia è titolare di un altro record tra i paesi europei e OCSE, oltre a quello sul debito pubblico: è il paese con il livello più elevato di evasione fiscale. Secondo, al contrario di quanto possano pensare molti italiani, l’Italia – tra i paesi caratterizzati da un sistema di welfare universalistico e sistemi pensionistici pubblici – non è quello con la pressione fiscale più elevata: nel 2022 ci superavano Austria, Finlandia e Francia. Terzo: l’Italia è da sempre caratterizzata da elevati divari territoriali, il che implica che ampie aree esibiscono una capacità assai limitata di contribuire al finanziamento della spesa pubblica. Pertanto, il finanziamento di servizi universalistici attraverso imposte richiederebbe una pressione tributaria assai più elevata dell’attuale. Quarto, gli altri capitoli di spesa dello Stato sociale non godono di sorte migliore dell’istruzione.

Propenderei a concludere che, se non si fosse ricorso allo strumento del finanziamento in deficit, la spesa sociale non previdenziale (compresa quindi quella in istruzione) sarebbe stata ancor più bassa di quella che osserviamo oggi. Ciò significa che l’obiettivo di contenimento della dinamica del debito pubblico non assume importanza? La risposta è, ovviamente, no. Ma tale obiettivo è rilevante per ragioni indipendenti dal fatto che un suo effetto collaterale sarebbe liberare risorse per altri capitoli di spesa. Tali risorse, se si ritiene prioritario aumentare la spesa (in istruzione, sanità o altro), vanno cercate altrove.

 Fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2024/08/30/la-risorsa-degli-investimenti-nella-voragine-del-deficit/7674040/