La solidarietà tributaria

Traccia del mio intervento all’incontro sulla “Solidarietà tributaria” tenutosi a Bergamo, venerdì 28 settembre.
In fondo all’articolo i link al programma e alle registrazioni audio dell’introduzione di Filippo Pizzolato e di relazione di Camilla Buzzacchi e intervento di Luciano Corradini.

Il libro di Camilla Buzzacchi è consolante, perché con garbo ma,  nello stesso tempo, con grande lucidità e determinazione, mette in luce le contraddizioni di un sistema fiscale che sempre meno si declina in sintonia con i principi costituzionali e sempre più si discosta dall’impianto comunitario e solidaristico, che contraddistingue la nostra Costituzione. 

L’analisi attenta della legislazione  prodotta in materia fiscale negli ultimi cinquant’anni evidenzia, nel libro,  come i principi  e i criteri contenuti nell’art. 53 – che  sintetizza perfettamente l’ideologia egualitaria in forma sostanziale sancita all’art. 3 della Costituzione Repubblicana –   siano stati sostanzialmente traditi. Il filone solidaristico di cui l’art. 53 con i suoi due commi  rappresenta una delle espressioni più significative indica  la scelta di come ottenere le risorse per  attuare tale eguaglianza:  far pagare a ciascuno una quota dei servizi, a prescindere dall’effettiva fruizione, secondo le sue condizioni economiche. Una  volta determinata la capacità contributiva, lo sforzo fiscale non può essere uguale per tutti ma ottenuto  modulando diversamente la percentuale di reddito da destinare alla contribuzione fiscale attraverso il principio della progressività.

Ossia chi più guadagna, più deve contribuire destinando una percentuale maggiore al fisco in    modo da ottenere il più possibile una perequazione tra i redditi medesimi.

Dal verbale dell’Assemblea Cstituente 23 maggio 1947 : On.le Scoca – relatore per l’art. 53 – “Ho sempre pensato che chi ha 10  mila lire di reddito e ne paga 1000  allo Stato con l’aliquota del 10% si troverà con 9 mila lire da impiegare per i suoi bisogni privati; mentre chi ne ha 100.000, dopo aver pagato l’imposta del 10%, si troverà con una disponibilità di 90 mila lire. E’ ovvio che per pagare l’imposta il primo contribuente sopporta un sacrificio di gran lunga maggiore del secondo e che sarebbe equo alleggerire l’aggravio del primo e rendere un po’ meno leggero il secondo, Si può discutere sulla misura della progressività, non sul principio”!.

 “Se poi consideriamo che più dei tributi diretti rendono i tributi indiretti e questi attuano una progressione a rovescio, in quanto essendo stabiliti prevalentemente sui consumi, gravano maggiormente sulle classi meno abbienti, si vede come in effetti la distribuzione del carico tributario avvenga non già in senso progressivo e neppure proporzionale, ma in senso regressivo”.

La tesi e le conclusioni, coraggiose, oltre che rare,  a cui  perviene l’autrice mettono a nudo ciò che pochi vogliono vedere e ammettere, ovvero che il sistema attuale è causa di molti dei mali che affliggono il nostro Paese, a cominciare da una legislazione farraginosa, contraddittoria, discriminatoria,  non sorretta da linee guida precise e sostanzialmente iniqua, oltre che condizionata dalle categorie del consenso.  “Tale legislazione si fonda su un centinaio di leggi che sono state emanate nell’arco di 50 anni. I volumi che le raccolgono sono costituiti da circa 1.000 pagine. Nessuno, che non sia un professionista è  in grado di gestire questo farraginoso e complicatissimo sistema. Inoltre la sua stessa complessità permette scappatoie ed elusioni…..quando si tratta di redditi da lavoro autonomo,  da capitale, da impresa, le possibilità di contestazione e di successivo contenzioso aumentano in proporzione alla rilevanza del reddito.  Il tempo necessario per arrivare al momento in cui il contribuente è stretto all’angolo e costretto a pagare il dovuto si misura in anni, anche 10, anche 15….”[1] Questa situazione è causata dalla  Legge Visentini e dalle sue successive modifiche e integrazioni avvenute nel tempo,   ma constato  con preoccupazione che  anche il contenuto degli  attuali disegni di legge delega di riforma del fisco  che giacciono presso le Commissioni Parlamentari  ( il DDL 4566  Tremonti e il DDL 5291 Monti.) non offrono un quadro sostanzialmente diverso in termini di maggior equità e giustizia fiscale.

La Legge delega 825/1971,  aveva   definito con estrema chiarezza gli indici di capacità contributiva   da realizzarsi attraverso l’applicazione dell’imposta al reddito complessivo effettivo  netto delle persone fisiche,  comunque conseguito, ottenuto  con la  “deduzione dal reddito complessivo di oneri e spese rilevanti che incidono  sulla situazione personale del contribuente”.   Inoltre l’attuazione del principio della progressività veniva  garantito da  un numero sufficiente di aliquote , 32, applicate a corrispondenti scaglioni di reddito che venivano tassati  dal 10 al 72%.

Attuando  i criteri previsti dalla legge delega 825/1971 il sistema tributario apparirebbe oggi ben diverso perché, da un lato, sarebbe  declinato in sintonia con i principi costituzionali  e, dall’altro,  sarebbe idoneo a  contrastare l’enorme e crescente evasione fiscale, causa primaria della crescita del debito pubblico che ha raggiunto  ormai il 123% del Prodotto Interno Lordo nazionale.

Su questa piattaforma rivendicativa  si fonda   lo studio approfondito e attento degli atti della Costituente da parte dell’Associazione Articolo 53,  nata a Firenze alcuni anni fa , che oggi rappresento nella sua articolazione piemontese,  che persegue con  ostinazione un disegno di riforma del fisco in senso costituzionale basato, come elemento centrale, sul concetto di capacità contributiva,  così come originariamente  interpretato dai nostri padri costituenti, ovvero come idoneità economica dell’individuo a concorrere alle spese pubbliche, secondo quel principio  comunitario e solidaristico, descritto dall’autrice del libro,  quale condizione necessaria per garantire il pieno sviluppo di tutta la comunità. 

La capacità contributiva deve esprimersi attraverso indici economicamente valutabili non solo costituiti dal reddito complessivamente  conseguito,  a prescindere dalla fonte da cui deriva, ma  dal patrimonio e dalle spese per consumi, necessarie a sostenere il contribuente  e la propria famiglia, come affermato dai padri costituenti. (“Non si può negare che il cittadino prima di essere chiamato a corrispondere una quota del suo reddito allo Stato per le spese pubbliche, deve soddisfare i suoi bisogni della vita quotidiana e quelli dei suoi famigliari”. On.le Scoca)  La deduzione di spese dalla base imponibile non solo consentirebbe la redistribuzione del peso fiscale in maniera più  equa (perché tutti pagherebbero secondo la loro capacità contributiva con l’abbandono di ogni metodo induttivo, come gli studi di settore) ma favorirebbe  l’emersione della base imponibile facendo recuperare al fisco un maggior gettito erariale,  la cui evasione è oggi stimata in 160 miliardi di Euro all’anno. E’ l’uovo di Colombo che ha funzionato bene in Paesi come il Brasile, stato autonomo  di San Paolo, che funziona bene da sempre  negli Stati Uniti e nella Svizzera, ma che incontra inspiegabili  resistenze ad affermarsi nel nostro Paese  anche se da una recente inchiesta del Sole 24 ore il 60% dei cittadini si è dichiarato favorevole al sistema di un fisco che consenta di detrarre dalla base imponibile le spese per consumi, conche accompagnate da ricevuta fiscale e/o fattura.

L’ARDEP, l’Associazione per la riduzione del debito pubblico, che ha appena compiuto vent’anni dalla sua fondazione, nata per merito di Luciano Corradini ora presidente emerito, e di pochi altri volenterosi, ha assunto l’obiettivo di promuovere e favorire la riduzione del debito pubblico nazionale, attuando iniziative di studio, di informazione e di sensibilizzazione ai valori della solidarietà nazionale, europea e intergenerazionale. Riconoscendo l’evasione fiscale quale una delle cause  principali  della crescita del debito pubblico nazionale  ha fatto proprio il disegno di riforma del fisco messo a punto dall’Associazione Articolo 53,  inserendolo tra le azioni da intraprendere idonee a ridurne l’entità.

Colgo l’occasione per invitare chiunque ne abbia voglia e interesse a visitare i siti web delle due associazioni facilmente raggiungibili inserendo la loro denominazione su un qualunque motore di ricerca.

Il tema dell’evasione fiscale ha assunto, con le manovre economiche di correzione del bilancio dello Stato  adottate dai Governi dal 2008 ad oggi  (con 180 miliardi di nuove tasse) , una maggior attualità  ed evidenza  a causa dei sacrifici imposti soprattutto ai poveri e agli onesti, mentre a non esserne minimamente scalfiti continuano a restare  gli evasori.  Non passa occasione che il  problema ci venga ricordato dal Presidente Monti e dai Ministri economici dell’attuale Governo.

Pur tuttavia la legge delega “per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita” che ha iniziato a muovere i primi passi nella Commissione Economia e Finanze  della Camera solo l’11 settembre scorso, su questo piano si presenta fortemente deludente.  A maggior  ragione perché resta  ancora in piedi nella stessa Commissione, il DDL  Tremonti con la proposizione “semplificatrice” di tre aliquote (20, 30 e 40%) in luogo delle attuali 5 e delle originarie 32. . Ebbene la misura più importante riguardante l’evasione è quella tesa a misurarne l’entità   attraverso l’istituzione di  una commissione di esperti., mancando così,  a mio avviso,  la determinazione per voler colpire veramente tale fenomeno. Per il resto è conservazione dell’esistente. Non cambia nulla.

Sostiene Luciano Gallino in un recente saggio dedicato alla “Lotta di classe –  dopo la lotta di classe” (Ed. Laterza)  che “la lotta di classe, oggi, è quella di chi non è soddisfatto del proprio destino e vuole cambiarlo, e quella di chi invece  è soddisfatto del proprio destino e vuole difenderlo”. Il conflitto è durissimo: la classe dei “capitalisti per procura” che gestiscono trilioni di miliardi di danaro altrui sta consumando la sua rivincita ai danni della “classe dei perdenti”. Si riducono le tasse ai ceti più abbienti e si sposta il carico tributario a vantaggio della rendita. “Succede così che un lavoratore italiano che guadagna 28.000 euro all’anno per 1500 ore di lavoro paga 6.960 euro di tasse, mentre un redditiere, con un capitale dello stesso importo e senza muovere un dito, ne paga 5.600 . Cosi’ come nel mondo succede che lo  0,5% della popolazione più  ricca detenga 69 trilioni di dollari, mentre il 68% della popolazione detenga solo 8 trilioni di dollari: è la disuguaglianza elevata a “modello di sviluppo” che oggi purtroppo domina la scena. [2]   Paolo Sylos Labini nel 1974 – e di anni ne sono trascorsi ad oggi 38 – spiegava nel suo “Saggio sulle classi sociali” la crisi globale e la spinta egemonica e tendenzialmente antidemocratica del capitalismo italiano contemporaneo, approfondendone gli effetti sulle distribuzione del reddito e sulle politiche fiscali, definendo come popolo e nazione a se l’élite allora (ed oggi) al potere che comanda il super stato più forte del mondo. Quello dei ricchi.   Non è cambiato nulla.

Oggi Paolo Sylos Labini purtroppo non c’è più. Ma ho avuto la fortuna di incontrarlo  nel 1996,  quando ha contribuito a dare  rilievo mediatico,  elevandola a modello valido per tutto il resto del Paese, ad una esperienza  realizzata a Rivoli, 54.000 abitanti alle porte di Torino. All’epoca ero assessore alle finanze e tutti i Comuni, come Rivoli,  erano impegnati a organizzarsi per  gestire l’ICI, senza risorse e senza uffici tributi strutturati.  L’operazione riguardava il  recupero dell’evasione fiscale sui cespiti immobiliari (necessità peraltro richiamata pochi giorni fa dal Ministro  Fornero)  che  è diventata poi il pilastro dell’azione amministrativa attraverso una formula inedita: una collaborazione tra Comune e una società  di servizi capace di immergersi nei labirinti catastali , giusto all’indomani del fallimento della legge Amato del 1992,  che avrebbe dovuto sancire la nascita di un catasto elettronico nazionale. Risorse finanziarie e personale  a disposizione: zero.   Serviva un’idea originale e con lo slogan “pagare tutti per pagare di meno” è iniziato il sogno di equità fiscale,  che si è concretizzato poi  in una realtà molto superiore alle aspettative. L’affidamento alla società del lavoro di rilevazione fisica di tutti i cespiti tassabili sul territorio (immobili, terreni, insegne pubblicitarie, etc. nonché le relative tipologie d’uso) è avvenuto con gara d’appalto  europea  particolarmente selettiva per garantire il buon esito dell’operazione.  La società aggiudicataria ha assunto 23 giovani diplomati e laureati, in cerca di occupazione, li ha formati  affinché si potessero districare tra le molteplici insidie del fisco, e li ha messi al lavoro. In sette  mesi sono stati censiti oltre 45.000 oggetti che costituivano la base imponibile per tributi comunali (ICI, TARSU, Imposta sulla pubblicità, Tosap, etc.) Come pagare il lavoro? Con una percentuale sull’ammontare dei tributi evasi riscossi (non solo accertati) ovvero sul recupero dell’evaso  andato definitivamente  a buon fine perché finito nelle casse del Comune.

Così è partita l’operazione “85 x 15” quattro cifre che insieme a “pagare tutti per pagare di meno” hanno fatto da slogan all’intera campagna , tutta gestita in comune senza costi esterni aggiuntivi. Avevamo stimato che l’85% dei cittadini pagava regolarmente le tasse, anche per quel 15% che non le pagava.   Se avesse pagato anche quest’ultima percentuale di cittadini le tasse sarebbero diminuite per tutti. E così è stato

Dopo aver incrociato i dati fisici rilevati (il segreto del buon esito dell’operazione è stato proprio quello di  aver spostato  l’attenzione dai soggetti tassati agli oggetti da tassare) con quelli dell’anagrafe municipale e con quelli dell’agenzia delle entrate sono emersi 2.400 evasori totali, completamente sconosciuti al fisco e sono stati recuperati con le sanzioni circa 8 miliardi su 24 di gettito complessivo. Il 30% anziché il 15, come inizialmente ipotizzato. L’aliquota della vecchia  ICI è rimasta per molto tempo  ai livelli minimi, sono state ridotte le tasse su alcuni servizi  e sono stati finanziati investimenti in infrastrutture senza ricorrere all’indebitamento.  E i cittadini ? Hanno reagito collaborando, nella convinzione che si stava facendo la cosa giusta  per migliorare i servizi chiedendo meno soldi a tutti.

Il Prof. Pizzolato ha richiamato nell’introduzione la lettera Enciclica di Benedetto XVI Caritas in Veritate: si può affermare che quanto accaduto a Rivoli  ha dimostrato,  anche come caso concreto di verifica,  la validità dei  tre principi  che stanno alla base dell’incontro di economia ed etica ivi proposto : 1) il dovere morale di pagare le tasse; 2) l’esigenza etico sociale che le tasse siano eque; 3) l’affidabilità delle garanzie offerte da chi governa e dal quadro economico politico generale circa il buon uso del danaro pubblico.

Ovvero:

  • chi evade le tasse trasgredisce il settimo comandamento “non rubare” con l’aggravante di farlo a discapito di tutti ma  soprattutto dei più deboli e bisognosi;
  • dove la contribuzione per  il villaggio comune è sbilanciata a favore di chi non paga, chiedendo uno sforzo maggiore agli onesti non si può parlare di equità, ma al contrario di somma ingiustizia;
  • ciò che proviene dai cittadini va speso per il bene comune, quindi a favore di tutti, combattendo corruzione e sprechi di danaro pubblico. Ma soprattutto occorre che i cittadini abbiano la possibilità di controllare che questo avvenga attraverso la trasparenza dell’azione di chi governa.

Per concludere: la crisi della concezione etica del sistema tributario è l’effetto di come nei 60 anni dalla nascita della Costituzione ne siano stati traditi criteri e principi fondanti (uguaglianza, equità e giustizia) e la prova ce la forniscono i dati pubblicati dal Ministero delle Finanze, incrociati con quelli della Banca d’Italia, sulle dichiarazioni dei redditi 2010, che offrono un quadro devastante della situazione: il 93% del gettito IRPEF sarebbe stato dato da lavoratori dipendenti e da pensionati, mentre il restante 70% da “altri”.  E tale risultato non è solo la conseguenza di comportamenti elusivi ed evasivi, ma anche di un sistema tributario che, risultando sostanzialmente forfettario per taluni rende i cittadini diversi per legge e non uguali rispetto alla legge. 

A. Paschero

[1]Bruno Tinti.

[2]Massimo Giannini “La Repubblica” 14-3-2012 p. 39.

Link:

=> Programma (PDF)

=> Audio relativi a introduzione di Filippo Pizzolato, relazione di Camilla Buzzacchi e intervento di Luciano Corradini:
=> La solidarietà tributaria 01(.mp3)
=> La solidarietà tributaria 02(.mp3)
=> La solidarietà tributaria 03(.mp3)
=> La solidarietà tributaria 04(.mp3)
=> La solidarietà tributaria 05(.mp3)